Il linguaggio si può definire come un sistema arbitrario di simboli che, presi insieme, consentono a un essere umano con limitati poteri di discriminazione e limitata memoria, di trasmettere e comprendere una varietà infinita di messaggi e di poter fare ciò, malgrado i rumori e le distrazioni (Brown R., New York,1965). L’uso del linguaggio simbolico è prerogativa esclusiva della specie umana: è la realizzazione più caratteristica e forse più complessa, dell’uomo.
Ogni società umana, per quanto primitiva ed isolata, ha un linguaggio, mentre nessuna società animale è mai riuscita a svilupparne uno. E’ degno di nota il fatto che in tutte le culture, i bambini senza difficoltà evidenti, siano padroni del linguaggio e riescano a parlare ragionevolmente bene entro i 4 anni di età ( Mussen P., Conger J., Kagan J.,1974).
In ogni linguaggio si riconoscono due aspetti principali: struttura ( le unità fondamentali, parole e suoni e le regole della loro combinazione) e significato ( segni convenzionali e arbitrari usati come referenti per oggetti ed eventi). Gli aspetti strutturali consistono essenzialmente nel sistema fonetico o dei suoni (fonologia), in regole per la formazione delle parole a partire dai suoni ( morfologia) e in regole per la combinazione delle parole ( grammatica o sintassi). Questi aspetti costituiscono il sistema linguistico, studiato dai linguisti, a cui si contrappongono le funzioni sociali e di comunicazione del linguaggio.
Secondo Chomsky, autorevole psicolinguista del M.I.T. di Boston (USA), ogni proposizione, per quanto semplice, ha una struttura di superficie e una struttura profonda. La struttura di superficie riguarda ciò che effettivamente percepiamo. Cioè la catena di parole che costituiscono la frase parlata, il suo “ suono”. La struttura profonda riguarda le relazioni logiche fondamentali, espresse nella proposizione ( Chomsky, N.1959,1967).
Poiché il linguaggio è generalmente considerato la caratteristica più distintiva del comportamento umano e occupando una posizione di primissimo piano nelle interazioni sociali e nel funzionamento cognitivo, gli psicologi si sono posti il problema dell’origine e del funzionamento di esso.
Le materie prime del linguaggio parlato sono i suoni elementari o fonemi, cioè i suoni vocalici e consonantici fondamentali che corrispondono grosso modo alle lettere dell’alfabeto. Durante i primi mesi di vita i bambini vocalizzano un numero limitato di suoni. Durante il cosiddetto periodo del balbettìo, che comincia verso i 6 mesi d’età, a questi suoni si aggiungono molti altri che compaiono in combinazioni complesse. ( Chomsky C., Cambridge, M.I.T. Press,1969).
Indipendentemente dalla lingua di appartenenza del bambino, i suoi primi suoni dotati di significato sono consonanti , prodotte con la lingua nella parte anteriore della bocca, come p,m,b,t e vocali posteriori, prodotte con la lingua nella parte posteriore della bocca, come la e, o, a. I bambini cominciano a combinare insieme le parole all’età di 18-24 mesi, partendo da frasi semplici. Eppure all’età di 48-60 mesi, la maggior parte dei bambini hanno ormai appreso quasi completamente la sintassi ( regole di grammatica) della propria lingua.
La neuropsicologa Francoise Lhermitte ( 1976) ha precisato: “ Esistono nel cervello dei sistemi anatomo-funzionali innati che, sotto la pressione dell’ambiente linguistico, renderanno possibile l’acquisizione del linguaggio; ma esistono anche sistemi di portata più generale che, sotto la pressione dell’ambiente, rendono possibile lo sviluppo delle attività cognitive.
L’acquisizione della parola, secondo la psicoanalista francese Annie Anzieu(1980), dipende dall’acquisizione della capacità di camminare e cioè, dalla possibilità per il bambino di introdurre attivamente la separazione spaziale reale dalla madre, mentre fino a quel momento il bambino subiva passivamente e dolorosamente la separazione di cui solo la madre prendeva l’iniziativa. Per parlare, cioè per comunicare a distanza, il bambino deve aver attraversato l’angoscia di separazione e aver stabilito con la madre, o chi per lei, la distanza tra il contatto funzionale in cui si perde e l’allontanamento estremo in cui la perde.
La comunicazione significante esiste solo in virtù del peso della carne che veicola, in base alle zone erogene o dolorose del corpo da cui proviene, o a cui tende, in base ai vissuti corporei e poi psichici, che evoca. La parola può essere acquisita solo se il bambino, stabilendo la differenza tra realtà esterna e realtà interna, può porle in rapporto analogico ( quello che D. Winnicott, chiama “l’area transizionale”, 1974).
L’accesso al linguaggio permette al bambino di pensare senza essere costretto ad agire simultaneamente il proprio pensiero, come avviene nel periodo senso-motorio, ( dalla nascita a circa 1 anno e mezzo) e ampiamente descritto da J.Piaget. Il decentramento così possibile porta il bambino a passare da un sistema di pensiero egocentrico, caratterizzato da causalità magica e intuitiva, in cui non si fa uso del concetto di reversibilità, a un sistema di pensiero che si serve di ragionamenti logici reversibili.
Egli ha bisogno dei 5-7 anni che separano la fine del periodo senso-motorio dal periodo delle operazioni logiche concrete, per imparare a padroneggiare il linguaggio parlato, nel suo vocabolario e nella sua sintassi e a utilizzarlo, non solo per evocare situazioni ma, anche e soprattutto, per comunicare con soggetti esterni e al tempo stesso simili a lui.
Per J. Lacan, il bambino non può diventare soggetto fino a che non impara a dire “ Io”, ma mentre impara a dire “Io” egli inizia sempre a pensare in termini di “ Lui” o “ Lei”. Il bambino per tutto il tempo in cui vive in rapporto duale con la madre è intrappolato all’interno di un corto-circuito. Attraverso la crisi edipica, in cui ogni angolo del triangolo familiare viene a mediare il rapporto duale tra gli altri due, il bambino giunge alla relazione triangolare, simbolica, dove l’opposizione è mediata dalla differenza. Lacan J. (1974) basa questo punto di vista e la sua pratica analitica su due riferimenti: lo strutturalismo di Levi-Strauss e la linguistica di de Saussure.
Così, non ci sorprenderemo del fatto che parlare male rimanda a disturbi riguardanti la possibilità di azione del corpo. Sia ad angosce di abbandono, sia ad angosce di castrazione secondaria edipica e spesso, ai tre disturbi simultaneamente. Non saremo nemmeno sorpresi dal fatto che solo eccezionalmente il disturbo che interessa il parlare si presenta come un sintomo isolato da qualsiasi particolarità.